giovedì 10 novembre 2016

Murubutu / Le sirene



Murubutu
LE SIRENE

Chi mi chiama? Sa il mio nome? Chi mi vuole ? Dove, dove?
Suona una voce nell’afa della mattina, bagnata d’aria marina,
esalata dalla battigia, sbarcata da spume d’ombre che infondono nuove forme,
confondono fonti d’onde con torri d’aria salina ……
La voce viaggia e si infila dentro a una stanza, che guarda dritta la spiaggia,
poi sfiora una stufa in ghisa, riaffiora sempre più alta e danzando con calma salda
lì incalza la faccia stanca del buon Carlo Caravita…
Il signor Carlo pertanto si leva in slancio, lui osserva il soffitto bianco poi il quadro di S.Rita,
sua moglie l’ha presa il mare, è partita senza tornare,
lasciandolo a cuore infranto ed il corpo che fa fatica.
Di lei amava la gioia e i particolari, il taglio degli occhi chiari, i tacchi e vestiti uguali,
quando ballava il tango muovendo lenta la testa
o cantando dalla finestra dove ardevano i gerani
e lei amava: viaggiare e avvistare terra, il nome suo Annarella, scritto su alcuni scafi
e il sorriso lieve lieve invadeva le gote accese, salendo la passerella che portava sulle navi.
Se la guardava si smarriva in lei, bevendo gli suoi occhi suoi, chiamandoli occhi miei …
lui vuole scoprire dove, la foce di quelle note, che sembrano di Annarella, la voce della sua bella.
Rincorre il suono sul filo delle pareti, i doppi vetri, i pavimenti e la voce gli dice: -Seguimi!-
e Carlo la segue fuori, là fuori brillan le siepi, ne segue tracce fra macchie di lecci, lauri e ginepri.
Il nostro la segue a piedi tra piazze, case e pievi, strade fatte di piedi, reti appese ai vigneti, tra i
terreni, i fieni scelti, i sentieri scoscesi ai piedi che portano a un mare fatto di linee bianche e
turchesi. Carlo di fronte al mare, sul greto di sabbia e ghiaia, la luna di madreperla gli lancia
un’occhiata ignara, là vede una barca ferma che porta una forma snella, è la forma di Annarella
segnata dalla rugiada. Carlo sorride ai flutti, la fronte sugli occhi asciutti, le stringe la mano forte
pronto per la traversata, all’alba Carlo non c’era,
nessuno lì se ne accorse, il vento muoveva i giunchi e i loro fiori color giada…
Rit.- … Amore mio tu non sei qui con me, ti non sei più con me, tu non sei qui con me…
Un bagliore...dove, dove?.. La tua voce…dove, dove?.. Suona altrove… dove è?
C’è una voce…dove, dove?... La tua voce…dove, dove? …Suona altrove…dove è?-

Claver Gold: -Sentivo il mare gridare forte il mio nome,
nel nome di un altro amore, nel fuoco di un'altra unione,
nel gioco di spuma e sale scappare da una prigione,
sentirmi ancora chiamare voltarmi per poter dire no.
Ma poi la noia la stasi, la nostra unione che quasi
si era tagliata in due parti quindi divisa in due fasi,
io avrei dovuto chiamarti davanti un bianco di Piasi
per dirti quanto mi manchi, ma poi l'ho fatto? No.
Amavo il sangue che porta inchiostro alla penna
in questo mattino nostro d'Agosto volo su Vienna,
l'aria che mi scotenna, la bocca che tentenna,
dove muore la voce alla foce della Senna.
Io, vestito male di stracci presi al mercato,
i lacci toccato il suolo, il volo era terminato,
il peggio l'ho meritato, in forma ma raffreddato,
il nome tuo l'ho gridato e l'eco mi rispondeva: -si, si, si, si-.
La brezza marina, accarezza la mia pelle, espelle la sua tossina,
cara portami in cima, strappami dalla riva,
ora trovo la pace nella benzodiazepina.
Clima del litorale dove la sabbia danza
al vento di Maestrale che soffia con eleganza,
ora tolgo le scarpe ed accorcio la distanza,
come Giorgio de Chirico ho Ulisse in una stanza.
Ho quello che manca per avere ciò che serve,
rosso d'arcobaleno, veleno di un'alta serpe,
usalo come china nel nostro amore di epistole
…..battiti e metriche in extrasistole.
Vedo l'amore che passa e l'amore che viene,
sento chiamare il mio nome da dodicimila diverse sirene
poi metto un piede nel mare e quell'acqua di sale mi gela le vene,
corro il più forte possibile e canto un richiamo come le balene.
Lei che mi stringe la mano, vuole portarmi lontano,
l'acqua è già sopra il mio cranio non ho saputo schivare il richiamo,
ora ho le gambe stanche, avrei bisogno di branchie,
non basterebbero neanche per dirti quanto ti amo.
Ora il mio corpo viola è di nuovo a riva senza parola,
sento posarsi i gabbiani sulle mie mani, la fine è ora,
steso sul bagnasciuga, la pelle nuda, la sabbia sfiora,
fine di questa storia ed è la stessa colonna sonora-.
Rit.








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