sabato 20 febbraio 2016

Morto lo scrittore Umberto Eco

Umberto Eco

Morto lo scrittore Umberto Eco
Svecchiò semiologia e letteratura

Unì agli studi accademici l’impegno militante nell’industria culturale. Il suo romanzo 
«Il nome della rosa» fu un bestseller di livello mondiale con 30 milioni di copie vendute



di DINO MESSINA
20 febbraio 2016 (modifica il 20 febbraio 2016 | 02:49)

Nemico dell’improvvisazione, dell’approssimazione, maniaco della precisione, Umberto Eco, scomparso venerdì 19 febbraio nella sua casa di Milano in Foro Buonaparte, riceveva i suoi intervistatori che arrivavano da mezzo mondo nell’appartamento che guarda il Castello Sforzesco e il Parco Sempione. I suoi modi cordiali, il tratto di una giovialità straordinaria rendevano simpatiche un’erudizione e una cultura sterminate. Nella biblioteca di casa, dove raccoglieva rarità bibliografiche, classici della filosofia e della letteratura, fumetti, saggi di semiologia, riviste, c’erano naturalmente anche tutte le sue opere, tradotte in decine di lingue.

Il suo Trattato di semiotica generale (Bompiani, 1975) è considerato un testo classico nelle università di mezzo mondo, a cominciare dagli Stati Uniti, dove Umberto Eco ha a lungo insegnato, dividendo l’impegno accademico con l’Università di Bologna, dov’era stato tra l’altro direttore del Dams e poi del Corso di Laurea in scienze della comunicazione.


Umberto Eco


Nato ad Alessandria il 5 gennaio 1932, Eco si era laureato all’Università di Torino con Luigi Pareyson, il maestro che non aveva mai smesso di citare, con una tesi sull’estetica in San Tommaso d’Aquino, che poi divenne il suo primo libro. Umberto Eco ha a lungo insegnato, dividendo l’impegno accademico con l’Università di Bologna, dov’era stato tra l’altro direttore del Dams e poi del Corso di Laurea in scienze della comunicazione.

Accanto agli studi accademici, già dal 1954, anno della laurea, Umberto Eco unì l’impegno militante nell’industria culturale: quell’anno assieme a Furio Colombo e Gianni Vattimo vinse un concorso in Rai. Quell’esperienza era il primo passo di quel continuo esercizio tra la cultura «alta» e la cultura «bassa» che sarebbe stato uno dei tratti distintivi della biografia culturale di Umberto Eco. L’esperienza in Rai diede al filosofo l’ispirazione per uno degli articoli culturali più significativi del secondo Novecento, Fenomenologia di Mike Bongiorno. Era il 1961, l’inizio di un’analisi con gli strumenti della filosofia e della semiologia della cultura di massa: tra i titoli più famosi, che ebbero un successo internazionale, Diario minimo, tradotto in inglese con il titolo divertente How to Travel with a Salmon eApocalittici e integrati, un titolo di cultura alta che sarebbe entrato a far parte del linguaggio corrente.


Umberto Eco

Protagonista del «Gruppo 63», con il saggio Opera aperta, Eco dette una spinta allo svecchiamento culturale del Paese. Seguirono una serie di studi che l’avrebbero confermato come il fondatore della semiologia italiana oltre che uno dei più affermati studiosi di comunicazione nel mondo.

Con un curriculum di questo tipo, il mondo accademico italiano reagì con un certo stupore, a volte con disappunto misto a invidia, alla pubblicazione nel 1980 di un romanzo giallo, destinato a diventare uno dei bestseller più di successo di tutti i tempi, Il nome della rosa, che finora ha venduto nel mondo circa trenta milioni di copie. Una struttura da giallo classico impastata di filosofia e conoscenza storica del Medioevo. Seguirono nel 1988 Il Pendolo di Foucault, sui Templari e la sindrome del complotto, L’isola del giorno prima (1994), Baudolino(2000), La misteriosa fiamma della regina Loana (2004) Il cimitero di Praga(2010), in cui affrontò il tema dell’antisemitismo e Numero zero, l’ultimo romanzo, uscito a gennaio dell’anno scorso, in cui ha messo alla frusta i limiti del giornalismo contemporaneo.


Umberto Eco


Ogni uscita editoriale di Umberto Eco era un avvenimento non solo per il mondo italiano, ma per l’editoria internazionale. Dopo il successo incredibile del Nome della rosa, per il successivo romanzo, ci fu un gioco alle anticipazioni giornalistiche che irritarono non poco il professore. Sicché per il terzo romanzo,L’isola del giorno prima, nel 1994 venne organizzato un lancio internazionale in una enorme sala del Frankfurter Hof durante l’annuale edizione della Buchmesse. Le tirature iniziali era ormai da capogiro: si partiva da centinaia di migliaia di copie.

Umberto Eco era uomo di passioni e di fedeltà. Per tutta la vita, come molti grandi autori, era rimasto legato alla casa editrice che l’aveva lanciato, la Bompiani. Quando alla fine dell’anno scorso il glorioso marchio editoriale è stato ceduto assieme a tuta la Rcs Libri alla Mondadori, Eco ha deciso di accompagnare Elisabetta Sgarbi nell’avventura di una nuova casa editrice, La Nave di Teseo. Un’impresa in cui ha investito una cospicua somma e in cui è stato chiamato a collaborare anche il figlio Stefano.

Umberto Eco trovava il tempo, accanto ai tanti impegni, di collaborare ai grandi giornali italiani. Aveva scritto per “Il Giorno”, “La Stampa”, era stato tra le grandi firme della terza pagina del Corriere della sera e da anni scriveva per “la Repubblica”. Era sua una delle rubriche più di successo dei settimanali italiani, “La bustina di Minerva” che concludeva ogni settimana e poi ogni quindici giorni, i numeri dell’“Espresso”.

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E il professore diventò  un personaggio di Dylan Dog





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