domenica 5 luglio 2015

Uno stile brutale, quello di Rubem Fonseca

Rubem Fonseca

UNO STILE BRUTALE, QUELLO DI RUBEM FONSECA


Se non avete mai sentito parlare di Rubem Fonseca, questa è una buona occasione per farsi un’idea su questo autore contemporaneo brasiliano e approfittare della lettura di uno dei suoi racconti che potrebbe risultare puramente sconvolgente.


Rubem Fonseca nasce a Juiz de Fora (nello stato di Minas Gerais, Brasile), l’11 maggio del 1925; la sua biografia è irregolare poiché esercita varie attività professionali prima di dedicarsi nella vita completamente alla letteratura. Gli studi in legge, le nozioni di medicina legale, ma soprattutto la professione di commissario di polizia esercitata nella favela Ciudade de Deus, hanno inciso profondamente nella sua vita e nella sua formazione letteraria  poiché gli anni in cui ha lavorato nelle favelas gli hanno permesso di essere lo scrittore brasiliano che più ha avuto contatto con quella realtà.

Le favelas, ovvero le baraccopoli brasiliane costruite in genere nelle periferie delle gradi città (prevalentemente con materiali di scarto), sono spesso considerate una disgrazia ed una vergogna dai brasiliani ma possono essere viste come una conseguenza della distribuzione ineguale della ricchezza del paese. Il degrado sociale e la povertà favoriscono il sorgere di attività criminali, per questo sono da sempre luogo di attività malavitose legate alla droga e alla guerra tra gang (vi consiglio la visione del film  Cidade de Deus diretta da Fernando Meirelles, esemplare unico di stile Neorealista che documenta la violenza delle favelas ).
L’attività narrativa di Fonseca, nasce appunto dall’urgenza di manifestare attraverso i suoi racconti il malessere della società brasiliana che si estende a tutta l’umanità immersa nella metropoli dove tantissimi individui vivono in maniera eterodiretta e finiscono con il sentirsi frustrati. E la frustrazione del “não ter”, di non avere, della povertà estesa a tutti i campi (intellettuale, economica, sessuale…) genera una violenza insaziabile che Rubem Fonseca rielabora nelle sue cronicas facendola diventare leitmotiv letterario.

Il libro più discusso di Rubem Fonseca, Feliz Ano Novo, è una raccolta di quindici racconti, edito nel 1975 viene censurato un anno dopo la sua pubblicazione con l’accusa di attentato alla morale e al buon costume; siamo negli anni della dittatura, di censura politica e culturale in un contesto sociale agitato dove non c’è spazio per una Literatura comprometida, non c’è spazio per una voce scomoda come quella di Fonseca, che si cimenta a scrivere della città e dei suoi problemi. È un nuovo tempo per la storia del Brasile e la produzione di Fonseca arriva al limite del chocante, in cui il contesto sociale si traduce in violenza come forma di trasgressione davanti alle nuove sfide della società. L’autore si definisce un navegator, colui che metaforicamente naviga nel mare della quotidianità carioca fatta di tormentos. Nasce da questa precisa volontà la verosimiglianza che troviamo nei suoi racconti, dove Fonseca traspone in letteratura il quotidiano della metropoli in cui vive, Rio de Janeiro, metafora del Brasile contemporaneo. La sua scrittura è violenta, brutale, asciutta e molto spesso volgare nelle descrizioni , che risultano oscene e ripugnanti; l’uso di molti registri linguistici contribuisce, nella sua scelta stilistica a dare un effetto  catalizzatore: per questo non si parla solo di un linguaggio brutale e chirurgico, ma anche di un vero e proprio linguaggio cinematografico che è capace di raffigurare l’orrore e di ‘far vedere’ la violenza dilagante.

Per farvi un’idea di quello che ho introdotto vi lascio con la lettura con una crônicas di Rubem Fonseca:




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